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Il museo

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Gli Arnesi della Memoria - Memory tales and tools

Il Museo Gli Arnesi della Memoria - Memory tales and tools, ospitato nella magnifica cornice del Castello di Colcavagno, sede della Fondazione, rappresenta uno spazio espositivo unico nel suo genere.

In un ambiente surreale, dove il tempo sembra aver perso la sua dimensione, “tra ambientazioni faraoniche e colossali”, storici personaggi quali Cesare e Agamennone, sembrano osservare con soddisfatta ironia gli arnesi che nei secoli hanno contribuito a tramandare le loro gesta immortali. 

Il desiderio dell’uomo di sopravvivere a sè stesso, la necessità di affidare a una memoria futura il proprio agire e le proprie opere, hanno contribuito alla creazione di luoghi quali: biblioteche, archivi e musei, dove la Storia, l’Arte e la Cultura trovano riposo, e sono continua fonte d’ispirazione alle generazioni future. 

Il Museo è stato costituito, grazie al conferimento del Cav. Paolo Ferraris all’omonima Fondazione di impianti, materiali, archivi, a seguito dell’avvenuta cessazione dell’attività della società Paolo Ferraris S.r.l. a marzo 2019.

La società Paolo Ferraris, che ha rappresentato un Centro di eccellenza per la conservazione, restauro e valorizzazione di beni archivistici, bibliografici e museologici ha tratto le sue origini da una lunga tradizione familiare, iniziata da Giovanni Ferraris nella prima metà del novecento. 

La Società si è sempre impegnata a realizzare e conservare una fedele documentazione storico-scientifica dei principali interventi di restauro da lei eseguiti documentandone le varie fasi, consentendo la creazione di un importantissimo archivio, unico nel suo genere dove, la documentazione fotografica insieme al giornale di restauro, rappresentano una reale testimonianza degli eventi storici e calamità naturali, che si sono verificati nella storia. 

Testimonianza completa che offre agli storici e ai ricercatori una lettura fedele, anche sull’evoluzione delle tecniche utilizzate nel campo della conservazione. 

Le oltre trecentomila immagini e cinquantamila schede tecniche e carte del rischio, conferite all’archivio della Fondazione, costituiscono uno dei più importanti e consistenti archivi di settore.

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Percorso Didattico

Il museo offre, attraverso un percorso didattico, la possibilità di capire quale sia l’iter del restauro e di conoscere gli strumenti e i materiali utilizzati. L’antico laboratorio di restauro e doratura è stato ricostruito fedelmente con tutti gli strumenti necessari al suo funzionamento. 

Accanto agli antichi torchi a vite, prototipi di tavoli luminosi e altri oggetti che danno vita ad una ricostruzione storica perfettamente riferita alla bottega dell’artigiano, sono presenti presse idrauliche, a colpo, celle per la disinfestazione che narrano l’evoluzione dell’arte del restauro e della legatura antica. Il nucleo centrale dell’esposizione è rappresentato dalle “polizze” di caratteri in bronzo e in lega incisi a mano, dai fregi, dai filetti e dalle palette che, con le trance per dorare, gli antichi mobili e le cassettiere, arricchiscono la collezione del Museo.

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Innovazione Tecnologica

L’innovazione tecnologica del XIX secolo imprime un’accelerazione sia nella produzione sia nella domanda di manufatti culturali; pertanto si evidenzia una differenziazione tra i laboratori che continuano la tradizione manuale e le aziende industriali che producono in serie. 

Per il restauro delle carte, uno degli strumenti più importanti che i laboratori cominciarono ad avere dall’inizio del secolo scorso fu il tavolo luminoso, composto da un semplice tavolo il cui piano orizzontale era costituito da una lastra di vetro sotto la quale era posta una fonte luminosa. 

Lavorando controluce era possibile vedere in trasparenza i bordi delle lacune attraverso la carta sovrapposta per il restauro e quindi agendo con un bisturi eliminare l’eccesso di carta utilizzata per l’integrazione della lacuna.

Materiali e Impianti
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Le carte per il Restauro

Le carte per il restauro, dette anche “carte giapponesi” dal paese di origine, hanno subito una grande evoluzione a partire dal XX secolo e possono essere divise in due tipologie: i veli e le carte.

I veli sono sottilissimi e trasparenti e sono utilizzati come rinforzo al supporto originario. Le carte vengono utilizzate per integrare le lacune e possono essere di diversa grammatura (spessore) e colore. I lavaggi effettuati in apposite vasche, con idonei prodotti, hanno consentito, oltre alla pulitura del supporto, anche di intervenire per la sua deacidificazione quando l’ossidazione della carta o l’acidità degli inchiostri lo rendevano necessario.

È possibile osservare una delle più grandi vasche per lavaggio in alluminio a stampo, priva di saldature, di grandi dimensioni (cm. 180 x 200), per permettere di lavorare i grandi formati come le mappe.

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L'asciugatura dei supporti

L’impianto di essiccazione permetteva l’asciugatura dei supporti, mantenendo i parametri ottimali di temperatura e umidità costante, evitando la deformazione della superficie. 

Le presse, sia le più antiche, sia quelle tecnologicamente più evolute, erano necessarie nelle diverse fasi di restauro: per favorire l’adesione dei veli e delle carte di restauro sul supporto originale, per spianare i supporti, per pressare i volumi e in altre lavorazioni. È interessante osservare uno dei primi impianti di disinfestazione di tipo criologico. 

Il planetario è un impianto utilizzato per effettuare la riproduzione fotografica di documenti su pellicola. Accanto al planetario si può vedere lo stativo a colori. 

Per il legatore di libri, oltre ad un robusto tavolo, sono necessari diversi strumenti che generalmente si costruiva o si faceva costruire appositamente da altri artigiani. Gli antichi torchi erano formati di due soli panconi uniti tra loro da due viti in legno e due guide rettangolari pure in legno; la funzione di apertura e chiusura si otteneva manovrando un cuneo di legno che si infilava in appositi fori praticati alla testa della vite.

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Il torchio

Il torchio serve per tagliare i margini dei libri quando non si possiede la cesaia, per la pressatura dei volumi, per arrotondare i dorsi e per altre operazioni. 

Il torchietto per legatura o torcoletto veniva usato per il taglio dei cartoni e dei margini dei volumi. Si compone di due panconcini uniti a vite in legno e due guide. Le guide sono assicurate al primo panconcino e perforano il secondo. La vite ha un grosso manico e perfora il primo e il secondo. 

La cesaia taglia cartoni permetteva di tagliare i cartoni garantendo l’esatta esecuzione ortogonale dei tagli. Il volume restaurato e ricomposto doveva essere cucito su telaio. Il telaio, composto da un ripiano orizzontale, due montanti a vite, due dadi che scorrevano sui montanti e un’asta orizzontale che appoggiava sui dadi, serviva per le operazioni di cucitura del volume dopo il restauro. 

Dopo la cucitura del volume e dei capitelli, si provvedeva al restauro della coperta originale o all’esecuzione di una nuova legatura in pelle, pergamena o altro materiale. La doratura seguiva alla predisposizione della coperta ed era fatta con ferri e caratteri e ornava i piatti e il dorso.

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I ferri

I ferri per dorare erano in bronzo, bene incisi, solidi ed eleganti nella fattura. Si dividevano in quattro categorie: rotelle, palette, punzoni e caratteri. Le prime tre servivano per le decorazioni ornamentali mentre i caratteri per l'incisione dei testi. 

La doratura a mano con caratteri e fregi componibili anche a disegno, avveniva portando a giusta temperatura su appositi fornelletti i compositori, contenenti i caratteri. Successivamente “il ferro” era impresso su una foglia d'oro posta sopra la coperta o il dorso del volume. 

La trancia esposta risale alla prima metà dell'Ottocento ed è stata prodotta dalla Karl Krause in Germania. La trancia permetteva di comporre in un'unica soluzione i fregi di tutto l'ornato della copertina, compreso il dorso con il titolo. Naturalmente, la decorazione veniva eseguita a coperta staccata. La trancia era composta da due piani, dei quali il superiore riscaldato, che andavano a combaciarsi. Tanto il piano superiore che quello inferiore erano mobili, quello superiore anche rimovibile. Era su questo piano che il maestro doratore componeva il disegno e l'ornamentazione dell'opera. 

Nella parte superiore della macchina si presentavano tre fori dove, per mezzo di apposita forcella, il calore era comunicato al piano superiore della trancia. Attraverso un sistema di leve detto “ginocchio”, i piani si avvicinavano consentendo l'impressione dei ferri sulla coperta. Il calore passava dai ferri all'oro che si imprimeva sulla coperta creando l'opera d'arte.

Castello di Colcavagno

Nuova vita nella storia del Castello di Colcavagno

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